sabato 19 gennaio 2008

Il poeta della gerla.

(prima bozza)
Continuando a rovistare tra le carte di Floriano Piute dalle quali ho tratto il racconto sull’Agana di Tarlessa, ho trovato un carteggio che dimostra come anche il nostro Floriano conoscesse il racconto del Gan di Trava. Sostiene però che sia falso. Perché, secondo lui ai tempi a cui risale la vicenda dell’Agana, non erano ancora state inventate le gerla. Non so che dire… Ho provato a consultare i maggiori esperti di storia friulana, ma nessuno mi ha saputo dire a quando risale la scoperta della gerla. Invece il mio antenato Piute, non ha dubbi: proprio ai tempi dell’Agana di Tarlessa, dice lui, proprio nel momento storico già ricordato nel quale il paese di Trava si era diviso in due fazioni. Quelli di Trava di sopra si mantenevano fedeli alla religione celtica dei padri, quelli di Trava di sotto si erano invece lasciati convincere dai predicatori del cristianesimo. Quelli di sopra continuavano a onorare Beleno nel tempio ove sorge la Chiesa della Madonna, quelli di sotto avevano cominciato ad andare a Messa nella chiesa che si erano costruiti al centro del paese. Avvenne in quei tempi che fu mandato a Trava un prete che odiava le donne. Era di una misoginia patologica. Quando parlava delle donne sembrava il diavolo che parla dell’acqua santa. E’ ora di finirla, diceva di trattarle come fossero delle fate. Sono streghe, messe al mondo dal diavolo per farci finire all'inferno!. Un vero cristiano le deve sottomettere, come dice S.Paolo. Devono essere loro, non voi uomini, a far fatica portando i pesi in spalla, in giro per le montagne.
Quest’ultimo ragionamento fece presa immediatamente, e forse fu quello che favorì, le conversioni e lo sviluppo del cristianesimo sull’Altopiano di Lauco.
Fino ad allora…ed è da qui che secondo Piute si ricava la falsità del racconto del Gan, erano gli uomini a fare i portatori. I Celti infatti, sostiene Floriano, avevano un grandissimo rispetto per le donne. Come vedevano le fate in natura, così consideravano fate le loro mogli. Le sorgenti erano per loro popolate dalle fate dell’acqua, le Agane. Da una fatata vulva di roccia sgorga l’acqua, come dal ventre fatato d’una donna sgorga la vita, cantavano i loro poeti. Del resto le loro donne erano bionde e molto belle, ma anche piccole e mingherline, non avrebbero potuto portare grandi pesi. Così era i normale sull’altopiano di Lauco incontrare una coppia formata da un maschio con le spalle cariche di roba, accompagnato da una donna che gli faceva compagnia senza portare nulla. Come oggi potrebbe essere normale incontrare una coppia formata da una donna curva sotto il peso di una grande gerla, accompagnata dal marito che non porta nulla. Che tempi!…
I maschi dei Celti tuttavia non conoscevano ancora la gerla, usavano come strumento di trasporto una sorta di rudimentale spalliera che ricorda la “crame” dei cramars, o la “refe” che si usa ancora in qualche paese. Una imbracatura rudimentale insomma alla quale si potevano legare le cose da trasportare.
Per tornare comunque al nostro racconto, a sentire il prete urlare dal pulpito che si sarebbe finiti all’inferno se non si trattavano le donne come animali da soma, tutti gli uomini furono più che felici di passare alle rispettive mogli il compito di portare la loro “crame”, e come ho già detto le conversioni al cristianesimo crebbero in forma esponenziale.
A Trava viveva a quei tempi un tal Giacomo Sclisizzo, (nome e cognome molto comuni ancora sull’altopiano) che obbedì al prete per non finire all’inferno, ma che allo stesso tempo sentiva di aver perso tutta la poesia della donne, al vederle curve sotto il peso di quel brutto trabiccolo che era la “crame”.. Va bene la religione! Diceva, ma anche l’occhio vuole la sua parte, l’estetica deve avere il suo peso... E fu così che inventò per le donne portatrici uno strumento elegante come la gerla.
Giacomo che così si prese il soprannome di “Jacum dai gèis”, tagliò in autunno “in buono di luna” alcune piante di nocciolo, le portò nella stalla perché al calore delle bestie si ammorbidissero. Il primo giorno di neve, si mise all’opera. Dopo aver raschiato la corteccia, prende a incidere con un coltello la pianta di nocciolo. Piegandola poi, e facendo forza contro il ginocchio, questa si sfalda. Si stacca dal resto la parte di pianta cresciuta nell’ultimo anno, formando una striscia di legno molto flessibile. In friulano una "sclese" o una "sclèndare". Da qui pare sia derivato il cognome di Sclisizzo. il "poeta che faceva le sclese". Dopo aver impostato la gerla con la base di legno e lo scheletro fatto con le bacchette di vimini, si intrecciano le strisce di nocciolo e si forma l’elegante contenitore che ha preso il nome di gerla. Se ne possono fare di ogni tipo, per ogni circostanza: per portare la dote delle spose, o per portare il letame dalle stalle nei prati e nei campi, più grandi per portare il fogliame, o più piccole e resistenti per portare i sassi per costruire la casa.
Fu così che iniziò la storia della gerla, e delle donne con la gerla. Per saperne di più vai a http://www.donneincarnia.it/varie/gerla-testi.htm
Per quanto mi riguarda, non saprei dire se sia andata veramente così, anche perché questa versione, come ho già detto contrasta con quella del Gan di Trava. A meno che non ci siano stata una evoluzione anche ai tempi dei Celti. Può essere che tra il racconto dell’Agana e quella dei Gans siano passati mille anni. E in mille anni ne possono succedere delle cose… Potrebbe essere che all’inizio anche i Celti usassero le donne come portatrici, e che nei secoli queste si siano poi emancipate ed abbiano sottomesso gli uomini a fare da portatori… C’è voluto il cristianesimo a rimettere le cose a posto portando le donne ad essere nuovamente sottomesse… La teoria potrebbe trovare una conferma nel fatto che anche ai tempi nostri al diminuire del peso del cristianesimo, fa riscontro l’aumento del ruolo e del peso delle donne nella società! ...
D’altra parte che ci possano essere stati dei cambiamenti sul ruolo della donna nei secoli è fuori discussione. Basti vedere i cambiamenti che genera una donna nel breve spazio della vita di un uomo. Scrive infatti il poeta che quando sono giovani sono come farfalle, e i giovani le rincorrono per portarsele a casa. Ma quando si sono accasate, come per magia si trasformano in croci, sempre più pesanti, al passare degli anni…e la farfalla che hai faticato ad inseguire, è una croce da cui non ti puoi staccare “fin che morte non vi divida”. Così almeno continua ora a tuonare dal pulpito il prete di Lauco, quando trova il tempo per dir Messa anche a Trava…
Saranno gli storici a ricostruire come sono andate veramente le cose! Comunque che ci sia qualcosa di vero nel racconto di Piute, è dimostrato dal fatto che a Trava è rimasta la passione per costruire le gerle. Ogni venerdì si riunisce nelle scuole la congregazione dei poeti delle gerle per insegnare ai giovani a ripetere i gesti dai quali nasce la gerla. I poeti spiegano come il legno sia qualcosa che vive, che bisogna saperlo prendere, saperlo capire, per farlo lavorare secondo le proprie esigenze. E ti pare di sentire ancora un Druido dei Celti che parla di come tutto in natura ha una vita, una voce, di come si possa sentire il respiro del bosco, ma anche il differente respiro di ogni pianta, dell'erba, dei fiori...

Nessun commento: