In Carnia, come in genere in tutti i paesi di montagna, fino a non molto tempo fa, si viveva soprattutto di allevamento del bestiame. Attorno al villaggio c’erano i prati coltivati dai quali si ricavava il foraggio per l’inverno. Più in alto c’era la “mont”, la montagna, cioè i prati di mezza o di alta montagna, con gli stavoli nei quali si ricoveravano le mucche prima o dopo il periodo dell’alpeggio. Il modo di utilizzare la “mont” variava da paese a paese. In alcuni paesi gli stavoli erano completati da una piccola abitazione nella quale ci si fermava a dormire durante il periodo della fienagione, in altri c’era solo la stalla ed il fienile. Dove la “mont” era abbastanza vicino al paese lo stavolo si riduceva al fienile, (la staipe), dove veniva raccolto il fieno che poi veniva portato alla stalla in paese durante l’autunno o la primavera. Il Tenchia, la “mont” del paese di Cercivento era l’unica a non avere né stavoli né staipe, perché a Cercivento a differenza di tutti gli altri paesi c’era l’usanza di portarsi il fieno in paese, di giorno in giorno, d’estate nel periodo delle fienagione.
Non era perché quelli di Cercivento fossero meno organizzati o meno intelligenti degli altri. E’ che a Cercivento si guardava con paura al Tenchia! Se non fosse stato perché del fieno dei suoi prati si aveva assolutamente bisogno, per mantenere le bestie e far vivere la famiglia, tutti avrebbero fatto volentieri a meno d’andare a falciare sulla montagna. Era una fatica improba doversi caricare i fasci di fieno sulla slitta e scendere fino in paese per poi risalire con la slitta in spalla sotto il sole di luglio, due o tre volte nello stesso giorno!
Ma di fermarsi lassù la notte non era il caso di pensarci! E non era neppure il caso di lasciare lassù il fieno a lungo, sarebbe stato stregato…Si perché sul Tenchia ballavano le streghe! Nessuno le aveva viste. Ma tutti avevano potuto constatare di persona i cerchi che avevano lasciato nell’erba con i loro girotondi. Sul pianoro che prende il nome appunto di piano delle streghe capitava spesso alla mattina, dopo le notti nelle quali avevano infuriato i temporali, di vedere delle strisce di erba bruciata a forma di cerchio.
Era come se ci fosse stato un girotondo di tante persone, e l’erba sotto ai loro piedi non solo era stata calpestata ma si era avvizzita, bruciacchiata.
Non c’era altra spiegazione possibile che nel girotondo delle streghe!
“Deve esserci un’altra la spiegazione! Per forza! Non fosse altro perché le streghe non esistono”, continuava a ribattere Pacifico. I suoi compaesani lo prendevano per pazzo e lo lasciavano dire. Pacifico che da giovane aveva fatto per molti anni l’emigrante in Romania, insisteva spiegando che anche lì aveva potuto constatare di persona come tutte le storie sul conte Dracula, fossero sole delle favole.
Ma se anche quella dei vampiri poteva essere solo una favola, perché non poteva corrispondere a verità la storia delle streghe, confermata peraltro da quei cerchi nell’erba?
Pacifico che a dispetto del nome era un uomo deciso e cocciuto si mise in testa di sfatare la leggenda. Visto che con le parole e con il ragionamento otteneva soltanto il risultato di essere preso per pazzo, decise di passare ai fatti: si mise a costruire sul Tenchia quello che oggi si chiamerebbe uno chalet. Cominciò i lavori a primavera. Da solo. Perché nessuno aveva voluto lasciarsi coinvolgere in quella che, si capiva, voleva essere una sfida alle streghe, da bravo muratore quale era, in un paio di mesi tirò su una casetta niente male. Ai primi di giugno cominciò ad abitarvi.
In paese evidentemente non si parlava d’altro, tutti l’avevano sconsigliato, avevano cercato di fermarlo, perché di certo si stava mettendo in un brutto guaio Ora poi che era anche andato ad abitare sul Tenchia, tutti s’aspettavano di giorno in giorno di sapere quale sarebbe stata la vendetta delle streghe.
Anche a Cercivento come a Paularo si raccontava (farsi raccontare qualcosa da Pacifico)…
A dispetto di tutti i racconti a Pacifico tuttavia non capitava niente. Scendeva in paese ogni due o tre giorni, ma parlava soltanto dei tramonti incantevoli e delle notti piene di stelle che si potevano contemplare da lassù. I paesani tuttavia erano certi che la loro attesa non poteva andare delusa, era solo questione di tempo… ed infatti un mattino allo spuntar dell’alba, dopo una notte nella quale c’era stato un fortissimo temporale e sul Tenchia s’era scatenata un iraddidio di fulmini, lo videro arrivare trafelato.
“Le ho viste!”
“Cosa? Le streghe?”
“No, le Agàne”
“Cosa sono?”
“Non so”
Era l’ora in cui dalle case stava uscendo la gente per andare a falciare in montagna, e in un momento tutto il paese fu attorno a lui che raccontava.
“Avete visto il temporale?”
Certo! Non s’erano mai visti tanti fulmini! Tutte le donne s’erano alzate ad accendere un ramoscello d’ulivo benedetto sulla porta di casa, e avevano guardato al Tenchia che pareva incendiarsi ed a lui lassù che aveva fatto la pazzia di fermarsi a dormire in mezzo all’incendio.
“Beh! Lassù ad ogni fulmine la montagna pareva tremasse come colpita da un terremoto. Avevi l’impressione, si potesse squarciare, andare in pezzi…”
Pacifico era sempre stato bravo nel raccontare, e come i cacciatori sapeva far correre le lepri anche se erano soltanto conigli! Ma certo non doveva essere stato molto simpatico trovarsi in mezzo a tutti quei fulmini!
“Non esagero! Era un finimondo! Guardavo dalla finestra e devo dire che avevo paura. Non delle streghe, ma d’un fulmine che mi cadesse sulla casa e mi incenerisse. Avevo paura di morire! E ad un certo punto mi convinsi d’essere già morto e d’essere già nell’aldilà, quando un fulmine più forte degli altri si scaricò proprio sul prato davanti a me, ruotando su se stesso come una matita che disegna un cerchio. Nel tempo fu un attimo, ma era come se fossi già nell’eternità e quel attimo durò un tempo infinito. Il fulmine mi si trasformò in una sorta di processione di angeli o di fate non capivo bene, che scendeva dal cielo e si disponeva a cerchio sul prato.
Come il tempo era diventato eternità, così lo spazio era diventato infinito. Era un cerchio, ma era costituito da una infinità di punti di luce, ed ogni punto di luce era in realtà una bellissima donna. Il cerchio prese a muoversi vertiginosamente lasciando uscire, come se fosse un disco, una melodia dolcissima. Cantavano. Ma non riuscivo ad afferrare il senso delle parole. Capivo soltanto in una sorta di ritornello che dicevano “siamo le Agane”…”
Quando il racconto di Pacifico giunse finalmente alle orecchio di Don Mattia il parroco di Sutrio che era un uomo colto e che sapeva tutto sulla storia della Carnia, il vecchio prete si precipitò a Cercivento per sentirlo raccontare di persona.
“Cosa sai delle Agane?”
“E’ un nome, se l’ho ben capito, che ho sentito per la prima volta, stanotte sul Tenchia”.
E lei, don Mattia?”
“E’ il nome delle fate dell’acqua. Nelle tradizioni di tanti paesi della Carnia si racconta della loro presenza. Ma prima del Concilio di Trento. Dopo nessuno ne ha mai più viste. Nessuno ne ha mai più parlato.”
Don Mattia era un uomo di fede, ma a lungo andare a forza di discutere con i suoi parrocchiani di Sutrio, era diventato anche un uomo di scienza. Come uomo di fede avrebbe dovuto limitarsi a dare a Pacifico una buona benedizione, come uomo di scienza voleva invece riuscire a capire. Se anche quel cristiano si fosse inventato tutto, come aveva potuto inventarsi persino quel nome, che diceva di non aver mai sentito prima! Gli chiese così se poteva passare la notte con lui lassù, ad aspettare il prossimo temporale.
Si era alla fine di giugno, il periodo in cui in Carnia i temporali si ripetono quasi quotidianamente. Infatti la sera stessa sul Tenchia ci fu un infuriare di fulmini ed un ribollire di tuoni ancora più spaventoso del finimondo della notte precedente.
Pacifico e don Mattia stavano alla finestra quando ad un certo punto Pacifico gridò:
“Le vede”
“Dio mio, perdonami, mormorò don Mattia, sono proprio le streghe. Sono orribili!”
“Ma come orribili non vede che sono bellissime”
“Orribili!” continuava a ripetere stralunato don Mattia.
“Ma come orribili?” ripeté Pacifico e quasi a convincerlo prese la mano del prete scuotendola.
Al contatto con la mano di don Mattia la scena cambiò improvvisamente anche per lui. Quelle che aveva visto come bellissime fanciulle. erano diventate come d’incanto vecchie storpie con il viso rinsecchito che pareva quello delle mummie di Venzone.
All’alba, visto che comunque dovevano salire a falciare, il paese era tutto davanti alla casetta di Pacifico a sentire come era andata.
Sentendo che anche don Mattia se non confermava la versione di Pacifico, diceva comunque d’aver visto le streghe, ed a sentire il discorso Pacifico delle fate che s’erano tramutate in streghe quando aveva preso la mano del prete, gli abitanti di Cercivento non sapevano cosa pensare, se non mettersi a recitare scongiuri “testiculis tactis” come se fossero litanie…
Don Mattia chiese loro di non dir nulla a nessuno, almeno per quel giorno. Si sarebbe fermato ancora una notte a dormire sul Tenchia per avere conferma di quello che aveva visto, e poi ne avrebbe parlato con i suoi superiori e con il Vescovo.
La notte seguente era quella di S.Giovanni. Sul Tenchia si scatenò l’inferno. La gente di Cercivento guardava in su e pregava A fulgure et tempestate, ripeteva in una litania infinita, liberainus domine. Ad un certo punto al piano delle streghe s’accese un enorme falò. Non c’erano dubbi” pensarono tutti: era lo stavolo di Mattia che bruciava colpito da un fulmine…
All’indomani recuperando tra le macerie i resti di don Mattia e di Pacifico, li trovarono affiancati vicino alla finestra. Chissà se avevano rivisto la scena? Chissà se anche don Mattia aveva visto le Agane?
Comunque sia andata, se prima gli abitanti di Cercivento avevano dei dubbi se costruire o meno i fienili sul Tenchia, dopo la vicenda di Pacifico si confermò la convinzione che comunque quella fosse una montagna stregata.
Finchè non si arrivò ai giorni nostri, quando nessuno crede più a niente e tutti vedono solo quello che fa loro comodo. Nel frattempo sulla vetta del Tenchia sono stati posti dei ripetitori per i telefoni e le televisioni. I soliti ambientalisti, a suo tempo, si erano anche opposti sostenendo che i campi magnetici avrebbero inquinato l’erba dei prati. Ma dato che non c’era più nessuno che andava a falciare e raccogliere il fieno sul Tenchia, la protesta si smorzò subito davanti alle esigenze del progresso. Sono stati collocati degli enormi tralicci, forse poco estetici, ma protetti da potenti parafulmini che attraggono tutti i fulmini della montagna.
A Cercivento si sostiene che è per merito del sacrifico di Pacifico e di don Mattia che con la loro morte hanno “scongiurato” le streghe. A Sutrio dove sono più laici, si sostiene che è per effetto del campo magnetico che ha allontanato i fulmini. Sta di fatto, che le streghe sul Tenchia non ci sono più. Dormire sulla montagna non fa più paura a nessuno. Anzi, i primi che vi hanno dormito, hanno raccontato di benefici influssi. Ai maschi pare di sentirsi dentro il richiamo delle bellissime Agane ed hanno così delle porformaces incredibili. Quelli di Sutrio continuano a dire che è solo l’effetto del magnetismo dei tralicci. Sia come sia, pare che a Cercivento si registri il più alto tasso di natalità in Carnia.
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