L’origine del Tiramisù
e del Mascarpone.
Raimondo della Torre
fu Patriarca d’Aquileia dal 1273 al 1299. Appena insediato si rese conto dell’
importanza per l’economia del Patriarcato del passo di Monte Croce Carnico e quindi del
ruolo di Tolmezzo a presidio sulla
strada per il passo. Alla cittadina concesse il privilegio della raccolta del
dazio sul commercio della Carnia perché si facessero le mura. I tolmezzini, in
segno di gratitudine, sulla porta di sopra, hanno scolpito il suo stemma.
Ma oltre le
motivazioni geo-politiche a rinsaldare i
vincoli di amicizia di Raimondo con Tolmezzo contribuì il suo amore per la
buona tavola. Aveva nominato gastaldo della Carnia suo cugino Eghelberto della
Torre, famoso buongustaio milanese e la tavola del gastaldo della Carnia si
distinse subito per la raffinatezza. Merito soprattutto del cuoco Cromazio che il Gastaldo era riuscito a scovare nel
paese di Cazzaso, un innovatore appassionato, affascinato dal desiderio di nuove pietanze con nuovi gusti e sapori e ma
preoccupato anche della genuinità del
cibo. Al punto che, volle produrre in proprio
il formaggio, alimento base della sua cucina. Nelle cantine del castello s’era fatto costruire una piccola
latteria e il gastaldo obbligò i suoi contadini a conferire al castello la
decima del latte prodotto. Poteva così far colazione con il burro di giornata,
mentre il formaggio e la ricotta venivano stagionati a seconda delle pietanze a
cui erano destinati. Per non sprecare nulla Cromazio s’era inventato anche la
ricetta del Formàdi Frant. Faceva fermentare i resti del formaggio e persino le
croste, unendovi delle erbe sempre diverse, ottenendo così un prodotto con sapori sempre più inusitati.
Ma come capita spesso, fu invece opera del caso la scoperta
del formaggio che rese Cromazio famoso in tutto il Patriarcato e oltre. Una mattina aveva appena raccolta la panna
affiorata nelle mastelle nelle quali era stato conservato il latte durante la
notte. Aveva deciso di cuocerla per farne l’ont (burro fuso in friulano) da
conservare. Fu chiamato dal Gastaldo
proprio mentre aveva sul fuoco sia la
pentola del burro che quella del formadi frant. Aveva appena ordinato ad un suo
inserviente di spremere alcune gocce di
limone in quella del formadi frant. Voleva verificare che gusto ne sarebbe
derivato a fermentazione avvenuta.
Al richiamo del
superiore si precipitò lasciando perdere ogni cosa. Al ritorno chiese
all’inserviente se aveva spremuto il limone. Gli rispose di sì, indicandogli il
recipiente che conteneva la panna. Ci si può immaginare la scena! Urla,
bestemmie, pedate nel sedere dell’inserviente. Ma ormai era fattal Rovinato il
burro della giornata! Anche perché si era spento il fuoco e si era interrotta
la cottura del burro. Come aveva dimostrato
con l’invenzione del formadi frant, Cromazio era cresciuto a Cazzaso nella
miseria e non sarebbe stato capace di sprecare nulla. Tanto meno la brume (la
panna), la parte più pregiata del latte.
Rovesciò la pentola con la panna su una delle tele che usava per fare la
ricotta e ne fece un sacchetto, come appunto fosse ricotta. Bestemmiando ancora contro la stupidità del
suo inserviente portò il nuovo prodotto nel fresco della cantina e l’appese, accanto ai salami. “Vedrò cosa farne
un giorno” e con una ultima imprecazione, preso da altre cose, si dimenticò dell’incidente.
Solo il giorno
dopo, mentre staccava un salame, gli tornò agli occhi il sacchetto.
“Son curioso di sapere che
cosa ne è avvenuto della panna al limone!” disse. Rovesciò il sacchetto in un piatto e si trovò davanti un
composto cremoso, bello anche da vedersi. Quando prese ad
assaggiarlo, non potè trattenere una bestemmia di soddisfazione. Una
prelibatezza! Qualcosa dal gusto raffinato. La stupidità del suo inserviente aveva
inventato un derivato dal latte che non era né burro nè formaggio nè ricotta,
ma qualcosa di nuovo. D’una bontà eccezionale.
Capì subito che
il miracolo era opera delle gocce di limone ma anche del fatto che il fuoco si
era spento fermando la cottura ad una
temperatura ideale per realizzare il prodotto. Ci mise alcuni giorni a definire
la ricetta, con diverse prove andate a vuoto. Bisognava trovare la giusta
temperatura e la giusta quantità di limone che aveva provocato il miracolo.
Alla fine ci riuscì e scrisse la ricetta
Si doveva
scaldare in una casseruola la panna a
fuoco lento mescolandola con un frusta fino a fare raggiungere gli 80/85 gradi.
Poi aggiunte alcune gocce di limone si doveva continuare la cottura per
un’altra decina di minuti . Lasciar quindi raffreddare nell’ambiente per 35
minuti, poi scolare in una tela, come fosse ricotta e mettere in fresco per
almeno mezza giornata.
Annunciò allora al
gastaldo, gonfio il petto d’orgoglio e soddisfazione, di aver inventato un
nuovo tipo di formaggio. Proprio in quei
giorni era in visita il cugino Patriarca. L’occasione cadeva a fagiolo per
sentire i commenti sul nuovo prodotto.
“Masse bon!”
esclamò con enfasi l’arcidiacono della Carnia che era stato invitato per
l’occasione e che come di regola i prelati, era anche un buongustaio. “Che
prelibatezza!” aggiunse il Patriarca con fare estasiato. “Come l’hai chiamato?”
chiese il gastaldo a Cromazio, soddisfatto per la bella figura che gli stava
facendo fare. “Non ci ho ancora pensato, non ho dimestichezza con le parole”
confessò quello. Allora intervenne il giullare, anche lui di Cazzaso, che si
divertiva invece a giocare con le parole e a fare anagrammi: “Mettendo assieme
le vostre esclamazione se ricaverebbe un Maschèpre. “Non mi pare granchè, ma
riconosco che è un nome originale, se va bene al cuoco tuo compaesano può andar
bene a noi, cui più che il nome interessa il gusto veramente nuovo e squisito,”
disse il Gastaldo. Il cuoco non aveva parole e quindi nel Patriarcato si
diffuse la voce che a Tolmezzo era stato inventato il Maschépre.
A questo punto il
lettore vorrà sapere come mai non s’è continuato a produrlo.
Per rispondere
bisogna tornare alla storia. Nel 1279 il
Patriarca Raimondo guidò in Lombardia un contingente di truppe friulane in
aiuto dei suoi parenti in lotta contro i Visconti, per il dominio della Signoria di Milano.
Naturalmente si offerse come volontario anche il nipote, Gastaldo della Carnia,
che si portò al seguito anche il cuoco Cromazio.
Con i buongustai però
non si vincono le guerre! Fu così che i Torriani subirono una sonora sconfitta
a Vaprio sull’Adda. L’armata friulana fu disfatta. Anche Cromazio cadde
prigioniero e finì i suoi giorni a fare il cuoco nel castello di Abbiategrasso,
che già dal 1277 era passato con i Visconti, insegnando ai nuovi padroni la ricetta del Maschépre, che nel frattempo
aveva cambiato nome.
Mentre si abbuffavano con quella nuova delizia
del palato invece che prepararsi alla battaglia, i feudatari patriarchini si
erano resi conto che almeno il nome della
specialità che gustavano ogni giorno doveva essere appropriato per l’ambiente
militare. Maschèpre sapeva di frocio, per questo il giullare, lasciando inalterata
la base, propose di cambiarlo nel più militaresco Mascherpòn, o Mascarpòn.
Oltrechè sul nome
ci furono grandi discussioni su quali fossero gli accostamenti migliori, se con
il dolce o con il salato . Anche qui fu il caso a dare la soluzione.
In una delle
scaramucce che precedettero lo scontro finale, l’armata friulana si era
scontrata con quella dei Conti di Savoia, alleati dei Torriani, ed era riuscita
a fare qualche prigioniero. Tra questi il cuoco del conte. Cromazio si trovò ad
avere così un valido collaboratore e assieme inventarono ricette eccezionali
che fondevano la tradizione della Savoia con quella del Friuli. Come specialità
il nuovo arrivato portava dei biscotti d’una particolare leggerezza che
chiamava “savoiardi”. Fu per loro quasi inevitabile mettere assieme le due
ricette: uno strato di savoiardi e uno strato di Mascherpòn il tutto farcito
con ottimo zabaglione al vino moscato del Piemonte e ne venne fuori un dolce
tanto squisito quanto facile a farsi.
“Una bomba energetica!” commentò il giullare
con questo “Tiramisù” saremo invincibili”, aggiunse, dando così il nome al
nuovo dolce. Non fu così, perché malgrado il Tiramisù furono sonoramente
sconfitti. I Visconti si presero la
signoria di Milano, mentre i Torriani si spostarono in Friuli al seguito del
loro Patriarca a godere dei feudi loro assegnati, ove deliziarsi di Tiramisù e
Mascarpone.
Quando, nel 1420,
Venezia pose fine allo Stato Patriarcale, prese a considerare il Friuli poco
più che una colonia dalla quale importare legname per le proprie navi. Anche le
buone tradizioni culinarie sviluppate con i Patriarchi si sono perse. Solo
nell’ultimo dopoguerra, negli anni del boom economico è tornato in voga il
Tiramisù Come mai sia venuta l’idea a Norma Pielli titolare e cuoca dell’Albergo
Roma di Tolmezzo negli anni cinquanta del
Novecento, è facile a spiegarsi alla luce di questa storia. La Torre Raytemberger
porta di accesso al castello patriarchino era al tempo, diventata cantina
dell’Albergo. E’ facile immaginare che
vi aleggiasse lo spirito di Cromazio,
tornato da morto nei luoghi che avevano visto brillare la sua stella di
grande cuoco. Invece che i numeri del lotto, come sono soliti fare i defunti,
Cromazio ha portato a Norma la ricetta.
Come suggerito dall’anima di Cromazio, Astori
ha preso a importare da Abbiategrasso il Mascarpone che i lombardi avevano continuato a produrre,
sulla ricetta insegnata loro dal carnico prigioniero. Norma , da cuoca
innovativa quanto Cromazio, ha arricchito la ricetta del Tiramisù, che gli era venuta in sogno, con i gusti del
caffè e del cacao che lui non poteva
conoscere.
Ecco come la
storia da sempre “magistra vitae” è anche in grado di tagliare la testa al toro
sulla querelle dell’origine del Tiramisù. Alla luce della storia che s’è letta,
è fuor di dubbio che il moderno Tiramisù è nato a Tolmezzo, recuperando la
ricetta dei tempi del Patriarca Raimondo Della Torre.
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