lunedì 2 giugno 2008

L'uomo che parlava alle Agane.


Lella faceva la ricercatrice all’Università di Udine, ad antropologia, o in qualche altro simile corso di laurea. Era sta incaricata di una ricerca sulle Agane in Carnia. Doveva indagare sul perché nella Carnia, più che nel resto della montagna friulana, fosse venuto meno nella tradizione popolare, il ricordo delle Agane. Come si sa, questi spiriti dell’acqua sono noti in tutta la montagna con il nome di Agane, Aguane, Anguane, Aganis, Gane, Vivane ed altro, e sono descritti in modi molto diversi, alle volte come bellissime fate altre come bruttissime streghe dalle mammelle a penzoloni. Nella Valcellina la loro memoria è rimasta fino a dare il nome all’Ecomuseo della valle. Nella Valcanale, ed in particolare a Chiusaforte, si ricordano associate a varie località. Tra i ladini delle Dolomiti, sono molto diffuse le leggende sulle anguane e proprio con una Anguana che adotta una bambina, prende inizio la saga dei Fanes, la saga sull’origine dei ladini. A livello nazionale l’Anguana ha dato il nome al Museo dell’uomo e della montagna istituito dall’Istituto Nazionale di Ricerca sulla montagna.
Questi dati Lella se l’era scritti nelle premesse. Aveva anche definito che il passaggio da fate a streghe fosse la conseguenza degli interventi dell’Inquisizione che aveva cercato di demonizzare le tradizioni legate alla visione panteistica d’una natura viva, popolata da spiriti che sapevano entrare in relazione con gli uomini. Ma il suo compito vero era quello di fare una ricerca sul campo, verificando se in qualche paese della Carnia, si parlava ancora delle agane. Aveva visitato Vinaio, con l’idea che Gans fosse una ulteriore variazione del nome. Ma come s’è già avuto modo di vedere a proposito dei Gans di Trava, questi esseri non potevano essere confusi con ninfe d’acqua.
Comunque la visita a Vinaio non era stata vana, da una vecchia del paese, aveva avuto l’informazione che nella borgata di Dolàces c’era un vecchio pastore, Meni di Flèch che raccontava storie di Agane.
Nella speranza di aver trovato finalmente una pista da seguire, il giorno dopo salì con il fuoristrada fino in Malga Corce e poi raggiunse a piedi Dolaces. Oggi la borgata è disabitata, ma già al momento della visita di Lella tutti gli abitanti avevano lasciato le loro case per trasferirsi più a valle, ad eccezione di uno, appunto Meni di Flech che continuava a vivere come un eremita, deciso a non abbandonare il suo paese “se non nella cassa da morto”.
Si era ai primi di maggio, e la primavera era finalmente arrivata anche nella borgata a 1300 m. sul mare, alle falde del monte Dauda, esposta a nord, abitata quando per sopravvivere non si poteva guardare troppo per il sottile, ed uno spiazzo coltivabile, anche se troppo in alto e con cattiva esposizione, poteva andar bene per ricavare l’indispensabile alla vita di una famiglia.
Meni di Flech stava crogiolandosi al primo tiepido sole, seduto sulla panca di legno a fianco dell’ingresso della sua casa. Aveva gli occhi aperti eppure Lella aveva l’impressione che non l’avesse vista, pur essendo già arrivata a pochi metri da lui. L’avevano avvertita a Vinaio che si trattava di una persona originale. E si poteva ben dire originale il vecchio che le stava davanti, con quel cranio lucido come una palla di biliardo al quale faceva da contrappunto una barba bianca, folta e non curata. In mezzo un viso bruciato dal sole, segnato da rughe profonde, scavate dal tempo, dal quale emergevano due occhi azzurri fissi a guardare nel vuoto. Ma quel non essere vista, quegli occhi che guardavano e non vedevano, come se anche gli occhi fossero assorti a guardare nel pensiero, era qualcosa di troppo originale...
Pensò che fosse pazzo, e per un momento esitò… Per una giovane donna, non era certo consigliabile l’intrattenersi sola con un pazzo, tra le case deserte d’un paese abbandonato in mezzo alla montagna. Ma la curiosità della donna e della ricercatrice vinse sui pur legittimi timori.
“Buongiorno!” lo salutò fermandosi a due passi da lui.
Al saluto parve svegliarsi, e la guardò stupito come chi si sveglia dopo un brutto sogno a fa fatica a riconoscersi nella realtà che lo circonda. Tra quelle case ormai pericolanti non era certo abituato ad aprire gli occhi su una bella ragazza, e infatti rispose al saluto con un: “che ci fa lei qui?” che sembrava più a un se ne vada, piuttosto che ad un s’accomodi.
“Non la voglio importunare!” volle precisare Lella per scusarsi in anticipo, ancora meno sicura d’aver fatto bene a svegliarlo. “Se vuole me ne vado subito!”
“Ma allora perché è venuta?”
“Per motivi di studio, devo incontrare persone che conoscono delle leggende!”
Rise divertito. E Lella si tranquillizzò, forse la persona non era poi così poco raccomandabile come la faccia la faceva apparire. A volte, anche tra gli uomini, non c’è corrispondenza tra contenitore e contenuto...
“Ai miei tempi si studiavano le tabelline, non le leggende”, disse ridendo.
“Sa, è un po’ tutto cambiato!” commentò lei cercando di ingraziarselo.
“A chi lo dice! Ma che leggende le interessano?”
“Quelle sulle Agane.”
Si rabbuiò come se quella parola fosse stata una provocazione nei suoi confronti: “Le Agane, non sono una leggenda”, disse con forza. “Si sono ritirate ad abitare sulla cima del monte Dauda” e indicò con la mano la montagna in alto, alle cui pendici si trovava la borgata
Per una che cercava si sapere qualcosa sulle Agane, trovarsi con uno che era convinto esistessero ancora, era una vera fortuna, Lella si vedeva già con tra le mani una ricerca degna di pubblicazione.
“Come fa a sapere che abitano ancora sul Dauda”
“Lo testimoniano i ruderi della malga di Chiàs di sopra”
“Ma cosa hanno a che fare i ruderi di una malga con le Agane?”
La fece sedere sulla panca vicino a se, come se fosse una sua nipote, e prese a raccontarle la breve storia della malga.
Devi sapere che il Daùda è una montagna sacra!
Alle sue pendici, dalla parte di Zuglio, c’è la malga che prende il nome dal monte, da questa c’è la malga Chiàs. Ma sono due malghe di mezza quota, la cima della montagna, non è mai stata utilizzata a pascolo perché è la casa delle Agane. Ai miei tempi tutti i pastori lo sapevano e nessuno avrebbe spinto le sue bestie fin lassù. Anche perché, a conferma che si trattasse d’una montagna sacra, veniva proprio dalle bestie che si rifiutavano di salire sui pascoli della cima.
Lo sapeva anche suo nonno, continuò a raccontare Meni, ma era uno uomo senza Dio che per qualche soldo in più, avrebbe sfidato il diavolo all’inferno. Pensò che su quei pascoli avrebbe potuto allevare un bel numero di capi di bestiame, e decise di costruire una malga in quota, per poter utilizzare i pascoli fin ad allora inutilizzati. Venne così costruita la malga di Chiàs di sopra.
In un primo momento ebbe qualche difficoltà a trovare dei pastori disposti a gestire la malga, ma alla fine trovò qualcuno, come lui senza timor di Dio, o costretto dal bisogno a non curarsi della voce popolare che considerava la montagna riservata alle Agane. Ma nessuno di questi pastori resistette in malga più di qualche giorno. Come le stelle in cielo si accendono soltanto al far della notte, così sulla montagna al calare delle ombre della notte s’accendevano le voci delle Agane. “E’ come se la montagna fosse piena di noci, e nella notte un gran numero di persone, si mettesse a mescolarle” raccontavano i pastori abbandonando la malga. “C’è un rumore assordante di noci mescolate, che impedisce di dormire”. I più coraggiosi avevano anche cercato di capire da dove venisse quel chiasso di noci rimestate. Ma se andavi a destra lo sentivi venire da sinistra, e viceversa. Era come se tutta la montagna fosse piena di grilli, che invece del solito “cri, cri”, emettevano un assordante “cra, cra”. “Son le Agane!” si convincevano alla fine anche i pastori meno portati a credere alle leggende, e abbandonavano la malga.
Il nonno era evidentemente disperato. Aveva impegnato tutti i suoi soldi nella costruzione della malga. Ed ora non poteva avere nessun ritorno economico dall’investimento, perché non si trovavano pastori per gestirla…Disperato, pensò di utilizzare come pastore Bepi Scivilott, quello che si direbbe lo scemo del villaggio.
Bepi era un ragazzo al quale il cervello gli era mancato sin dalla nascita, ma poi ancora bambino era rimasto senza genitori, e questo fatto non aveva certo migliorato il suo sviluppo…
Dormiva nella casa che gli avevano lasciato i genitori, ma viveva di fatto nella borgata, facendosi ospitare a caso, ora da una famiglia ora da un’altra. “Qualche paese alleva il maiale di S.Antonio, noi allevavamo Bepi Scivilott”. Il soprannome che in italiano potrebbe essere tradotto con “zufolo” gli era stato dato perché sapeva trarre delle melodie eccezionali dagli zufoli che si costruiva da solo ricavandoli dai rami di giàtul (salica). Tutti in paese lo aiutavano, nessuno avrebbe pensato di poter approfittare del suo ritardo mentale. Il nonno si! Era un uomo senza scrupoli. Lo portò in malga e lo lasciò a dormire da solo. Si aspettava di vederselo rientrare spaventato in paese già nella notte, e invece all’alba del giorno dopo lo trovò felice, e per come riusciva a farsi capire, deciso a continuare a vivere da solo in malga. Meglio di così! Il nonno non si preoccupò di capire. Vide la possibilità del guadagno e gli affidò un gregge di capre. E le bestie che non avevano mai voluto salire ai pascoli del Dauda, con lui presero a salire fin sulla vetta della montagna. Anzi nelle tiepide sere di agosto Scivilott si fermava a dormire con le sue bestie sotto alcuni faggi cresciuti proprio sulla cima.
E quel rumore di noci rimescolate? Mah!. Scivilott diceva che era musica. Sia di giorno che di notte lui intonava melodie con il suo zufolo, e la montagna rispondeva trasformandosi in una fantastica orchestra. A volte i pastori di Malga Meledis lo sentivano anche cantare. Il suo canto che sembrava stonato e sgradevole agli altri uomini, evidentemente piaceva alle Agane. Era come se le sue corde vocali suonassero una musica su un registro diverso da quello degli uomini, che però era il registro delle Agane. Era ritardato nel parlare con gli altri esseri umani, ma riusciva a entrare in perfetta sintonia con le Agane .
Ma quando morì Scivilott, e purtroppo per lui e per il nonno, morì giovane, non si trovò più nessuno che sapesse condurre le bestie al pascolo sulla montagna delle Agane. Nessuno che sapesse comunicare con loro, facendo loro accettare il brucare dell’erba delle bestie. Le capre non salirono più sulla montagna. La malga Chias di sopra non utilizzata si ridusse presto a un rudere.
“Se vuoi ti accompagno a vedere i resti!” concluse il vecchio. “Così avrai la conferma dell’esistenza delle Agane”
“Grazie, sarà per un'altra volta!” gli rispose Lella e non volle offenderlo spiegandogli che non aveva senso la relazione diretta che lui faceva tra la malga ridotta ad un rudere, e la esistenza delle Agane sul monte Dauda. Se anche fosse vero che non vi pascolano le capre, potrebbe essere soltanto perché, per qualche caratteristica del terreno, ritengono immangiabile quell’erba.
La guardò con lo sguardo penetrante che gli aveva osservato arrivando. Come allora le era parso che guardasse dentro ai suoi pensieri, ora ebbe la sensazione che leggesse dentro ai pensieri di lei. Scosse la barba incolta in segno di disapprovazione e le disse:
“Se passassi di qui qualche notte sentiresti suonare il violino. Non sono gli spiriti. Son io che suono. Alle volte…Lo suonavo il violino, da giovane, nelle feste da ballo a Vinaio o a Lauco nella Casa del popolo. Ancora qualche volta mi esercito… Lo suono così da dilettante autodidatta. Dalle suo corde si riesce a far uscire un suono d’una delicatezza infinita, dalle nostre corde vocali sappiamo solo far uscire suoni e parole sgradevoli di inimicizia e di odio. Se le sapessimo suonare come si suona il violino…E’ evidente che suonate così, le nostre corde vocali, non ci possono mettere in relazione con l’ultramondo. A Scivilott che sapeva suonare male le sue corde vocali con la tecnica degli uomini, forse madre natura aveva dato il dono di suonarle con la tecnica delle fate, la tecnica del violino. Sapeva pur suonare lo zufolo meglio di qualsiasi altro uomo!..
Per questo poteva parlare con le Agane. E se lui ci parlava, è vero che esistono!!!…”

1 commento:

Gigi ha detto...

mi piacerebbe conoscere qualcosa di più sulle agane, come posso contattare questa Lella, 8seesiste)
Grazie
Elido Turco
turco.e@email.it