domenica 26 gennaio 2020

Gracco in Carnia




Gracco, mi piego ma non mi spacco.
Flectar non Frangar .

Nella storia di un paese la storia della Carnia.
(ipotesi di scherzo  teatrale).

Premessa. Colpito dal fatto che sono riuscito a dimostrare che Marco Polo è nato in Carnia, un amico mi ha chiesto di usare le stesse abilità per dimostrare che il paese di Gracco in Val di Gorto ha qualcosa a che vedere con i famosi Gracchi Tiberio e Claudio. Mi sono provato con questo sketch teatrale.
            E’ il lungo monologo di un Attore (il parroco di Rigolato) disturbato da uno Spettatore, che presenta una serie di scene della storia di Gracco allargata poi al Comune di Rigolato, in qualche modo riassunto della storia della Carnia.
            Venti scene da tre minuti intervallate da un minuto di monologo.    
            Immagino una anteprima al Candoni di Tolmezzo con il gruppo teatrale dell’Università della terza età. Le scene recitate saranno filmate, per poterle poi proiettare nella Prima da tenersi a Rigolato.
La registrazione della prima può andare anche in onda a Telefriuli.
 Contando sul volontariato l’unico costo sarà quello delle riprese, a meno che non si trovi un volontario con la strumentazione e  professionalità necessaria che elimini anche queste.

         A un angolo del palcoscenico, di sghembo un prete con tonaca e quadrato. Ha in mano un libretto, dei fogli, davanti un portatile, che lo riprende proiettando la sua immagine a pieno schermo sul fondale.
(Monologo introduttivo)
           Buonasera! Mi presento. Sono il Parroco di Rigolato. Sono qui per parlarvi di questo libretto che mi è venuto tra le mani e della storia del paese di Gracco che vi è scritta. Ma per spiegarmi devo fare un passo indietro.
            Negli anni cinquanta del secolo scorso, subito dopo la fine della guerra, viveva a Gracco un povero cristo.  Si chiamava Sempronio, e il nome aveva assunto una connotazione negativa.
            “Tu ses un sempronio” era diventato sinonimo di sei un imbranato.
            Era l’individuo che non manca mai nei paesi, quello che viene chiamato “lo scemo del villaggio”, e 
Sempronio sembrava il nome più appropriato per denominarlo. 



            Invece il nome aveva ben altra origine, era un nome storico importante. Suo padre si chiamava Tiberio. Nomi non usuali in Val Degano dovuti al fatto che il nonno era stato un personaggio di rilievo, a capo del Distretto di Rigolato. Era quel che si dice “uno studiato” aveva infatti frequentato il Ginnasio tenuto dai frati nel monastero di Raveo. Appassionato di storia romana s’era innamorato dei Gracchi e delle loro vicende, non tanto per la riforma agraria che viene loro attribuita, quanto perché si era  convinto che da loro derivasse il nome del paese. S’era dato così  a ricerche a livello nazionale e internazionale per capire se aveva manico l’idea  d’una origine romana del paese. Preso da questa sua passione   aveva imposto a suo figlio il nome di Tiberio, obbligandolo poi a dare il nome di Sempronio al nipote.
            Che in qualche modo avesse ragione a pensare a una origine romana era dimostrato anche dal fatto che in paese erano ricorrenti nomi d’origine latina come Claudio, Sisto, Lucio che non erano usuali negli altri paesi. Una ramo dei D'Andrea  ancora si chiama "chei di Corneli" perchè alla fine dell'Ottocento c'erano Giuseppe Cornelio e Cornelio Antonio figli di Giacomo Cornelio, nipoti di Cornelio D'Andrea (1806-1870). Evidente richiamo alla madre dei Gracchi!
            Aveva fatto studiare sia il figlio che il nipote, ma poi quest’ultimo nato nel 1899 era stato chiamato alle armi ed era tornato dalla guerra, gloriandosi di essere "un ragazzo del 99" ma  “disturbato”, come aveva detto il medico, per non usare il brutto termine di pazzo.
            Disturbato o pazzo che dir si voglia Sempronio aveva vissuto nella sua casa di Gracco senza dar fastidio a nessuno. Accudito da una vecchia zia, lo si vedeva girare per i boschi, sempre senza mai dire una parola, senza mai fermarsi a sentire un discorso. Una vita in piena solitudine che si concluse quando ad appena cinquanta anni la zia, preoccupata perché non si alzava come al solito, constatò che, in silenzio come era vissuto,  era passato a miglior vita.
            Rovistando tra le sue carte la vecchia trovò un libriccino nero, scritto con una fitta calligrafia che pensò bene di regalarmi, non sapendo che altro farne..
            E’ questo il libricino che mi ha regalato. Questo libricino nero che ho portato con me questa sera.lo mostra al pubbico .
                Potete immaginarvi la mia sorpresa quando ho preso a leggerlo e vi ho trovato,  scritta in bella grafia, la storia del paese di Gracco. Scritta da chi? Da Sempronio, assicurava la zia, che diceva di riconoscere la scrittura del nipote.
            “Ma forse l’ha solo ricopiata da un manoscritto di suo padre o addirittura di suo nonno!” ho pensato sulle prime. Oppure no?
            Oltrechè di storia locale io sono sempre stato studioso di storie occulte di diavoli e streghe. In segreto, perché i parroci non dovrebbero interessarsi delle vicende in cui è coinvolto il demonio. In segreto, ho così studiato la teoria per la quale la storia si può ricostruire oltreché attraverso i documenti,  anche per mezzo di  un particolare tipo di fantasia di cui sono dotati i “disturbati”.  Come nel Dna si deposita la storia fisiologica d’un individuo, in un angolo particolare del  nostro cervello si deposita la sua storia, come popolo, come paese. Nei “disturbati” a volte questo angolo di cervello emerge, diventa memoria, e l’individuo è così in grado di leggere la storia della sua gente, anche se non è rimasta traccia in nessun documento.
            Mi sono alla fine convinto  che questa era l’origine del libretto e subito  ho preso a trascriverlo, battendolo a macchina sulla mia vecchia Olivetti lettera 32. Questi sono i fogli (li mostra).
            Se mi mettessi a leggerveli vi addormentereste, per evitare di sentirvi russare, siccome, a dispetto dell’età, sono anche un appassionato intenditore delle nuove tecnologie informatiche, come vedete ho qui il computer portatile e  vi presento il contenuto del libretto  con l’utilizzo di queste tecnologie.
            Addirittura con le tecnologie del futuro!
            Le passioni che mi hanno portato a capire come lavora il diavolo, mi hanno portato anche a tenermi in rapporto con chi lavora sulle diavolerie informatiche e quindi sono in grado di anticiparvi quello che si vedrà in futuro, nella società 5.0, cinque punto zero.
(Alla Anteprima)
            Di seguito avrete l’impressione di vedere rappresentate delle scene di teatro, ma non è così. Sono dei videoclip che ho qui nel computer e che proietto nel palcoscenico. Le prioietto però, come si farà in futuro, non in 3D ma in 4D, per questo  voi avrete la netta impressione di avere davanti delle scene recitate da attori. Sono invece scene che, con l’aiuto dei tecnici dell’Area di Ricerca di Trieste ho realizzato al computer, e che proietto per voi questa sera.

(Alla Prima).
Di seguito vedrete delle scene con immagini che vi sembreranno proiettate. Non è così. Misteriosamente il libriccino di Sempronio passato ai raggi Y dell’informatica 5.0, consente di far rivivere i personaggi delle scene raccontate, Vedrete quindi veramente i personaggi che hanno fondato Gracco e tanti altri che hanno scritto la storia del territorio del Comune di Rigolato.
             Se non ci credete, fa niente. Se penserete siano scene recitate da attori, non so che dirvi.  Mi sta bene lo stesso. L’importante è che attraverso le mie parole e ciò che avrete l’impressione di vedere sul palcoscenico, riusciate a seguire la storia , come l’ha ricostruita in questo libretto Sempronio il “disturbato”.
            Andiamo!
            Sul fondale appare la scritta Nel 181 prima di Cristo.
Il parroco legge:
            In quell’anno arrivarono nella regione che prendeva il nome di Carnia, ( dalle montagne al mare, dal Carso al Livenza non piccola come ora) i romani a fondare la città di Aquileia.
            Con il suo consenso, si possono rubare alcune scene da Ermanno Del Tatto.
            Dopo aver fatto sorgere  Aquileia nel  181 a.C. Acidino, il fondatore,  ebbe un figlio con la seconda moglie, la celtica Medea, come si legge nel romanzo storico “Aquileia” di Carpenedo-Piutti. Lo chiamarono Giulio e divenne un fedele continuatore della missione che il padre s’era imposto di favorire: l’integrazione tra i Carni autoctoni e i Latini che continuavano ad arrivare dal Lazio.
            Giulio (171-100) ebbe in particolare il compito di realizzare la strada che da Aquileia portava al Passo di Monte Croce Carnico che poi si chiamerà Iulia Augusta.
            Scene da Del Tatto sulla strata romana.
             Ma prima Giulio aveva trascorso degli anni a Roma, ove il padre l’aveva introdotto a frequentare il Circolo degli Scipioni, la lobby letteraria e affaristica del tempo.
            Era entrato in famigliarità in particolare con Cornelia (189-110) la figlia di Scipione l’Africano. Costei aveva sposato Tiberio Sempronio Gracco, morto all’età di 66 anni. Vedova a 35 anni aveva fatto in tempo ad avere 12 figli. Due, Tiberio e Caio, furono quelli diventati famosi nella storia di Roma come tribuni della plebe, e, come succede a chi vuol cambiare il mondo e fare le rivoluzioni, ci lasciarono entrambi le penne Tiberio nel 133, Caio dieci anni dopo nel 123.

Nell’angolo di fronte al parroco si illumina la presenza di Cornelia.
Il parroco – Ve l’avevo detto che sembrano attori in carne e ossa, e invece sono solo immagini. Lei è l’immagine di Cornelia.
Dalla parte del parroco entra il figlio di Acidino.
Eccone un’altra! E’ sicuramente Giulio il figlio del fondatore di Aquileia.
Cornelia – Grazie di essere venuto.
Giulio – Nessun grazie. Sono corso appena ho saputo. Che disgrazia. Non so cosa dirti.
Cornelia – Non c’è nulla che si possa dire per consolare una madre che ha perso un figlio di soli 29 anni. E l’ha perso in  modo così tragico.
Giulio – Come è stato?
Cornelia – Ho tanto predicato a vuoto, dicendogli che stava rischiando la vita insistendo nel voler fare la riforma agraria, per dare i terreni ai piccoli contadini. Era evidente che i grandi proprietari, la nobiltà terriera, gliel’avrebbero fatta pagare. E così è stato. Tiberio ha voluto ricandidarsi a tribuno della plebe per un secondo anno, contro ogni tradizione, perché sentiva il dovere di portare a termine la riforma e s’è così inimicato un po’ tutti. Questa mattina è stato proprio Scipione Nasica pontefice massimo e mio nipote, suo cugino quindi, a ucciderlo, pugnalandolo nel Foro.
Giulio – Che sfrontatezza. Suo cugino…in piazza…
Cornelia – Cose inaudite! Ma ora devo chiederti un grande favore. Io temo anche per i suoi figli: Claudio ha sette anni, Lucio solo cinque. Tu li conosci, sono in grande confidenza con te. Mi hai detto che stai ripartendo per tornare ad Aquileia. Vorrei chiederti di portarli con te. Preferisco non vederli più, ma saperli al sicuro.
Giulio – Li avrò come fossero miei figli. Io parto domani. Preparali”
Si spengono le luci sulla scena

Il parroco – In effetti i testi di storia non dicono che Tiberio avesse due figli, perché le vicende della sua famiglia, alla sua morte, non interessavano agli storici. Ma è certo che  fosse sposato e che avesse dei figli. Anche lo studioso Luciano Perelli, nella sua storia dei Gracchi, parla almeno di un figlio. Ecco così che il libretto di Sempronio ci aiuta anche  a coprire i buchi della storia, per questo se permettete, continuo a leggere.
            I timori di Cornelia erano fondati, come dimostra il fatto che nel 123, dieci anni dopo venne ucciso l’altro suo figlio Caio, che aveva voluto portare a termine le riforme impostate dal  fratello.
              Sul fondale viene proiettata la data 120 avanti Cristo
(il parroco continua a leggere)
            Data fondamentale per la storia del paese di Gracco questa del 120 a.C. Giulio, il figlio di Acidino, era stato incaricato di realizzare la strada che da Aquileia porta ad Aguntum (oggi Lienz) per il passo di Monte Croce e si trasferì ai piedi del villaggio celtico di Sezza, impostando la costruzione di un Municipium romano che da lui prese il nome provvisorio di Iulium.
           All'epoca,  Claudio aveva vent’anni, Lucio 18. Giulio  aveva insegnato loro il suo mestiere di Magister, costruttore di strade, progettista e impresario allo stesso tempo.        L’avevano imparato molto bene, per questo  i Duoviri di Aquileia si convinsero ad affidare loro la realizzazione di una'altra strada che, attraverso la val Degano, anche se con un percorso molto più tortuoso, portava ad Aguntum.
               Si trasferirono quindi sul percorso della strada che avrebbero dovuto realizzare, creando un insediamento abitativo a supporto, come aveva fatto Giulio nell’altra valle. Sorse così l’abitato che da loro prese il nome di Graccum, come quello della valle del But aveva preso il nome di Iulium.
            La valle a quel tempo era abitata da una tribù dei Carni, i Fauz. Dediti alla pastorizia occupavano gli altopiani in quota. Vivevano in capanne come quelle di cui si vedono i resti sul monte Sorantri sopra Raveo. Ma non ci furono difficoltà a trovare una intesa con i nuovi arrivati:
Romano – Sono vostre queste montagna?
Fauz – Noi siamo Celti venuti da oltre le montagne. Ci siamo messi qui, perché c’erano delle capanne occupate dai Veneti. Ma se ne sono andati e noi abbiamo preso il loro posto.
Romano –Ma quindi i territori sono vostri?
Celta – Per quanto ci dicono i nostri sacerdoti Druidi, la terra e tutto ciò che essa produce e della Dea Madre Terra, gli uomini sono ospiti.
Romano – Va bene. Meglio così.E’ chiaro che abbiamo due concezioni diverse del mondo. Comunque, sappiate che d’ora in poi i territori più in basso sono nostri.
Fauz – A noi non interessano, se ci lasciate continuare a usare i pascoli di alta montagna.

 PARROCO -  Si insediarono così i figli di Tiberio come è dimostrato dal fatto che sono state trovate delle monete che si riferiscono a loro.   
        La valle era invece infestata da una continua invasione di Carni proveniente dal vicus carnicus tergesteus dal villaggio carnico di Trieste.  Veri predoni di tutto ciò che la natura regala agli abitanti della montagna: funghi, lamponi, mirtilli e quanto altro. A conferma che anche tra i Carni c’erano modi di pensare diversi.
SPETTATORE. E’ sempre stato e sempre sarà così, chi vive in montagna la pensa diversamente da chi vive in pianura. Sono i luoghi a condizionare il modo di pensare.
PARROCO – Ma scusi lei chi è? Come si permette di interrompere.
SPETTATORE- Non vorrà mica pretendere che stiamo a sentire il suo racconto senza farci qualche nostra riflessione.
PARROCO – Si può anche riflettere in silenzio. Ma se proprio non può fare a meno di interrompere lo faccia il meno possibile…
Tornando a noi. I due fratelli dovettero muovere una vera battaglia oratoria per rivendicare il fatto che la valle era ormai occupata e quindi di proprietà dei Romani.
             Entrano in scena i due fratelli e due Carnici Triestini.
Un triestino - La proprietà è di diritto di chi se ne impossessa per primo.
Lucio - Cosa c'entra essere arrivati per primi o per secondi. La valle è pressochè disabitata. C'è un solo villaggio celtico, quello di Fauz, in altra montagna. Semmai sono loro a poter rivendicare la proprietà. Ma con loro ci siamo subito accordati, non hanno interesse a scendere a valle.
Un triestino - Ma questi Carni di montagna non sanno neanche approfittare di ciò che la montagna offre loro, dei valori della montagna, noi invece, venendo dal mare, abbiamo capito subito quali sono le ricchezze dei territori montani.
Lucio  –  Grazie del suggerimento, faremo tesoro dei vostri consigli. Ma ora ci siamo noi. La proprietà è di chi ha la forza per mantenerla.
Così dicendo  sguainò la spada.
            PARROCO E i triestini se la diedero a gambe per non mettere mai più piede in Carnia a rubare i prodotti della montagna.
            SPETTATORE. Già a quel tempo!... La solita panzana dei triestini in Carnia a rubare fagioli. Con quella scusa è nata la diffidenza per i turisti. Così non sappiamo far turismo e ci perdiamo tanti bei soldi.
            PARROCO - Io faccio il Parroco non il politico. Anche quella volta vinse la forza e quindi vinsero i Romani, ma (come erano soliti fare) hanno fatto loro il principio che avevano appena negato. Così in Carnia si affermò l’usanza  che nei paesi le proprietà sono degli “originari”. i primi possessori, e loro discendenti. Gli immigrati acquisiscono tutti i doveri senza nessun diritto.
     Vinta la battaglia sul Diritto di proprietà i due giovani Gracco presero a impegnarsi a tempo pieno alla costruzione della strada e quindi del villaggio scelto come loro residenza.
          Entrano di nuovo in scena i due fratelli.
Claudio – Io vorrei che nel paese che stiamo fondando ci sia qualcosa che ricorda il sacrificio di nostro padre e di nostro zio.
Lucio – Sono d’accordo con te. Possiamo fare un monumento a Tiberio e Caio Gracco e attorno a questo sviluppare il piano urbanistico del paese.
Claudio – Si può fare. Ma io vorrei qualcosa di più significativo. Il modo più sentito e sincero per ricordare i morti non è tanto quello di edificare monumenti, quanto quello di continuare a far vivere le loro idee. Potremmo impostare il nostro villaggio sui principi della riforma agraria.
Lucio – Mi pare un’ottima idea, ma in pratica cosa faresti?
Claudio – Il principio a fondamento della riforma voluta da nostro padre era quello di dividere i territori, in modo che servissero al sostentamento delle famiglie che diventavano proprietarie, non allo sfruttamento da parte dei grossi proprietari.      Lui pensava di dividere. Io  ponendomi lo stesso obiettivo di equità sociale, al contrario lascerei le proprietà indivise, facendo partecipare le famiglie, in parti eguali, agli utili che ne derivano.
Lucio – Claudio sei grande! Soprattutto perché hai capito che i principi vanno sempre adattati alle situazioni reali. Nostro padre pensava alle pianure da coltivare, qui in montagna non ci sono contadini, ma pastori. E’ più razionale mantenere in comunione la proprietà dei prati e dei boschi che circondano il paese. Basta un armentarius per tutta la mandria o il gregge, basta un porcarius, per condurre al pascolo i maiali.
        Si spengono le luci sulla scena e riprende il racconto

Parroco – A Gracco sono così nate le vicinie, il modo originale di organizzare i paesi che poi si diffonderà per tutta la Carnia e resterà in vigore fino all’arrivo di quel cretino di Napoleone, che ha fatto più danni alla Carnia di un ciclone. Tutti i beni in comune, un Meriga eletto ogni hanno, responsabile della gestione. Il sistema che ha impressionato anche Carducci quando è venuto a “passare le acque” ad Arta e ha scritto della rustica virtù dei carnici, d’essere uno per tutti e tutti per uno.
SPETTATORE. Sarà stato un grande poeta, ma se questa è l’idea che s’è fatta dei carnici, non ha proprio capito niente.
PARROCO – Parla dei Carnici di una volta non di quelli di adesso, E quelli di una volta, intelligentemente, trasformarono le vicinie, a partire da quella di Gracco, in Comuni serrati. L’ho già detto. I diritti li avevano i proprietari originari. Per mantenere un equilibrio tra i beni a disposizione e il loro utilizzo, ogni Comune doveva organizzarsi per mantenere inalterato nel tempo il numero degli abitanti. Serrato era il Comune perché non dovevano essere ammessi foresti. A questo fatto si lega un momento significativo della storia di Gracco.
            Sullo sfondo Mille e non più mille.
            Anche a Gracco si attese con ansia la notte di San Silvestro del 999. S’era diffusa la convinzione che l’anno mille dovesse segnare la fine del mondo. Tutti a pregare…Non come adesso che sono costretto a predicare ai banchi vuoti!...
            Quando però nel gennaio dell’anno mille ci si accorse che era una panzana quella della fine del mondo, si scatenò una gioia immensa. Ubriachi di libertà. si riprese a vivere con grande entusiasmo, convinti che con il nuovo millennio fosse tutto cambiato. “Compresa la regola che non si possono portare in paese dei foresti” pensò Gigliana, la più bella ragazza del paese. E si diede a trescare con un bel ragazzo di Ovaro, il figlio di Andrea l'oste del paese,
Entrano in scena il Meriga e i due innamorati.
Meriga - Io sono il Meriga, come sapete duro in carica un anno, e in questo anno non voglio fastidi. Le consuetudini sono legge. Se entrasse in paese altra gente non ci sarebbe da mangiare a sufficienza. Quindi Gigliana, se vuoi, segui il marito e cerca ospitalità a Ovaro, ove ci sono  prati con minore pendenza dei nostri e quindi sono più ricchi di noi. Loro possono fare una eccezione e accoglierti.
Gigliana - Ma io sono innamorata del mio paese, Gracco, quanto sono innamorata del mio ragazzo di Ovaro. Mi entusiasmano  gli ambienti e i paesaggi con prati e boschi in salita non  quelli pianeggianti. Il ripido mi affascina!
Meriga - Che una ami i prati in salita invece che quelli in piano, che una preferisca le montagne invece che la pianura è un fatto importante che va sottolineato e premiato. .
SPETTATORE: Anche adesso andrebbe premiato che sceglie di vivere in montagna. E invece ci sono solo tasse e costi in più per il riscaldamento, per trasporti. Sfido io che non ci sono più ragazze che preferiscono la montagna alla pianura.

PARROCO, - E dai con la politica! Io cosa c’entro, mi interesso di storia e la storia insegna che ora come allora c’è sempre una soluzione, se si vuole  c’è sempre la possibilità d’un accomodamento e fu proprio il curato del tempo a pronunciare il fatidico “Si cumbine”.
Riprende la scena.
Il meriga – Bene! Volendo premiare l’attaccamento di Gigliana alla sua valle, che non vuole abbandonare neanche per amore, faremo noi l'eccezione daremo ai due sposi una parte della montagna ora non utilizzata, ove metter su famiglia e avviare la nascita d’un nuovo paese. Daremo loro i terreni oltre il cimitero, oltre il lùc dai vues, sulla strada per Collina.
Gigliana – Va bene che mi piacciono le pendenza. Ma quelli sono terreni d’una pendenza che fa venire il capogiro. Già qui a Gracco non si scherza, ma quelli sono in verticale, non per nulla non sono stati utilizzati fino ad ora. Possono andar bene per le capre ma le mucche scivolerebbero, non riuscirebbero a pascolare.
Andrea dell'Oste – A me, pur di restarti vicina, di metter su famiglia assieme, sta bene ogni cosa. Ho sentito che in pianura hanno inventato dei ferri da mettere sotto gli zoccoli dei cavalli, perché possano fare più sforzo, noi li metteremo alle mucche al pascolo, perché non scivolino, li metteremo anche a noi cristiani, e alle galline appenderemo un sacco per evitare che le uova scivolino a valle.
PARROCO -  L’usanza per le mucche e le galline s’è persa nel tempo, in questo modo da Gracco attraverso Givigliana  è venuta alla Carnia l’invenzione delle “dalmines di glacins”..
            Degna di ricordo comunque la discussione che ha portato alla scelta del nome per il nuovo paese.
Scena
D’Andrea – A me piacerebbe che il paese che nascerà attorno alla nostra prima casa porti il tuo nome.
Gigliana – Ti ringrazio del bel pensiero. Ma sono gli uomini a fondare i paesi, non le donne, quindi credo sia giusto si chiami il paese dei D’Andrea. E poi il merito più grande è il tuo, che hai accettato di venirmi dietro, mentre, secondo le usanze, avrei dovuto venire io dietro a te.
D’Andrea – Se sia giusto non so, ma da me deriverebbe un nome che suona male.
Gigliana – Forse si. Si cumbine ha detto il Meriga indicandoci il luogo ove abitare. Facciamo anche noi “si cumbine” per il nome. Va bene per il mio, ma con la finale in o, a ricordare che i paesi li fondano i maschi non le femmine.
            Fu così che nacque il nuovo paese che dalla bella ragazza, prese il nome di Gigliana che poi il solito cretino di impiegato comunale del c… (Pardon!) come ha cambiato Chiazzaso in Cazzaso, per evitare il fastidio che gli davano quelle due “g” di seguito, ci ha messo in mezzo una “v”. Gigliano è così diventato Givigliano.
PARROCO            Dalla “o”  di Givigliano il paese prese poi spunto per preferire la finale in “o” in tutti i vocaboli della lingua nuova che si veniva   formando, mettendo assieme le parole dei celti con quelle dei romani, dei barbari e degli slavi immigrati.
            Fu proprio Gracco la culla della nuova lingua che poi si diffuse in tutta la Carnia e la pianura friulana imbastardendosi, ora preferendo le desinenze in “a” ora in “e” rinunciando al più robusto e maschile “o” che avevano voluto di abitanti di Gracco.
.         Orgogliosi di aver inventato una lingua nuova si misero a fare i poeti e la valle continuò a nutrire poeti fino ai giorni nostri.
Fruch – Certo che sì. Io, Enrico Fruch sono forse l’ultimo e mi piace rendere testimonianza  per il primo di cui s’è perso il nome,ma son rimasti i versi  Piruc mio doc inculurit, quanti iò ci viot dut stori ardit, La pirma poesia in friulano! Una raffinatezza e sensibilità d'animo eccezzionali in quel primo poeta di Gracco.
Dell'Oste – Non sono poeta ma sono uno storico. Non esageriamo. Dopo aver rivendicato al paese di Gracco l'origine della lingua friulana, non possiamo rubare al Friuli anche il merito della prima poesia. Il testo è stato ritrovato in un documento del 1380 a Cividale, non a Gracco.
Fruch -  Ma è stata composta a Gracco più di un secolo prima, attorno al 1250 quando Gracco era diventato un covo di poeti, meritandosi nel 1251 una visita particolare del Patriarca Gregorio di Montelongo
Dell'Oste - Mi pare che la fantasia non ti manchi. Non c'è traccia di questa visita del Patriarca in val Degano mentre è vero che è stato lui a inventarsi Tolmezzo, che poi è diventato Toltutto a danno della Carnia.
Fruch -. Gli storici pretendono di avere la verità e poi sono in disaccordo su tutto. Comunque a conferma che la poesia viene da Gracco c'è la dedica che dice
            Cianzonuta va cun Djo a chello dumlo saludant, e "dumlo" si diceva a Gracco per dire bella ragazza, dal latino “dominula”.

 IL Parroco.

 A quanto ne so la disputa è ancora in corso e ha portato a profondi studi da parte della Società Filologica Friulana.  
 Ma tornando a noi, i  poeti si sa, possono essere arditi con le ragazze ma girano con la testa tra le nuvole e quindi è facile imbrogliarli. Si spiega così il bidone del bosco che si sono presi quelli di Gracco nel 1270.

Leggo dal testo di Sempronio:
            Passò di lì un mercante di legname di nome Erminio Polo, accompagnato da un nipote di 16 anni di nome Marco come si legge nel romanzo  “ Marco Polo, dalle memorie del nonno Luigi”.
Il bosco di Gracco,
            Avevano visto il magnifico bosco di querce che sovrastava il paese, impiantato ancora dai Celti, che consideravano sacre le querce e fecero in modo di avere l’appalto per il taglio del bosco.

Erminio – Marco, hai visto che bosco meraviglioso di roveri c’è in questa valle.
Marco – Certo,zio Erminio, e vedo che ti luccicano già gli occhi immaginando l’affare.
Erminio – A Venezia questo legname non ha prezzo. Non c’è legno migliore per realizzare i remi delle caravelle. Un legno eccezionale per la tempra e la durata nel tempo, Ma come convincere questi montanari a lasciarcelo?
Marco - Ci penso io!. (e rivolto al Meriga). Mio zio vorrebbe farvi un piacere. Tagliare questo bosco di querce e ripiantarlo come bosco di faggi. Il faggio arde meglio nei vostri focolari, si lavora più facilmente per fare le stoviglie e gli attrezzi di legno che voi usate.
Meriga – Mi pare un ottima idea. Così spariranno anche quei fastidiosi  stormi di brutti uccelli neri che si alimentano di ghiande.
PARROCO – (leggendo) E come scrive Sempronio al bellissimo bosco di querce che avevano piantato i Carni, che consideravano sacre le querce, si sostituì un altrettanto bel bosco di faggi.
            A ricordo della sua abilità di mediatore che poi avrà modo di mettere a frutto addirittura con il Gran Kan dei Tartari, Marco si prese come stemma di famiglia tre degli uccelli che aveva fatto allontanare del paese, ma che mantennero e hanno ancora il nome di Gracchi corallini.
            

Lo stemma di Marco Polo

PARROCO -   L'origine di  Givigliana,  da Gracco, paese di poeti, è dimostrato anche dal fatto che si è trasferita in quella borgata  la vena poetica che ancora oggi caratterizza il coro, che vanta il nome di quel paese quando canta il suo inno:
            Che tu cressis Giviano sano e fuarto se Dio vul
            Che tu slargis la pedrado di Dancilo fin a Gheghè.
            O la nostalgia degli abitanti del confinante paese di Mieli, quando prendono la strada costruita da Claudio e Lucio, per andare all’estero:
            Sul telo di sfondo viene proiettato il filmato del coro di Givigliana che canta le due canzoni.

  PARROCO –Ma nel frattempo, tra Gracco e Givigliana, era nato un nuovo paese, nel luogo ove prima c’era il cimitero. Il luogo era stato soprannominato “il lùc dai vuès”, luogo delle ossa, nome che si trasferì al paese, Vuessis da vues, (osso) che poi per il solito errore di trascrizione divenne Vuezzis.       Era un paese di origine celtica a differenza di Gracco, d’origine romana, con una strana storia che val la pena di raccontare.
            Come si è già detto, quando arrivarono i due fratelli Gracco da Roma, non trovarono difficoltà a insediarsi, perché la tribù autoctona dei Carni,i Fauz, dediti alla pastorizia, abitavano un villaggio molto più in quota che portava il loro nome: Fauz.
          Fu abbandonato dagli abitanti a seguito d’una strana epidemia causata da un virus che si trasmetteva rapidamente portando alla morte chi ne era colpito, un antenato del corona virus. Era stato importato e veniva trasmesso da nugoli di mosche bianche che avevano fatto morire tutta la vegetazione.
            Il Druido sentenziò che era  conseguenza del cambiamento climatico. Era in corso un raffreddamento dell'atmosfera terrestre, per cui non si poteva più continuare ad abitare oltre i mille metri di quota. I quattro che si salvarono dall’epidemia scesero quindi più in basso portando i morti nel cimitero di Gracco, e costruendo un nuovo paese attorno al cimitero.
(Si può proiettare un filmato con la scena della processione ripresa sul posto.
            Scesero in processione, al seguito del Druido che continuava a suonare una campanella che a Fauz era stata il simbolo del villaggio. Allo stesso modo degli  abitanti di Chiarsevualis, che al seguito della campanella erano scesi a Valle Rivalpo. Così ora nella chiesa di S.Nicolò a Vuezzis come in quella di San Martino a Valle Rivalpo, all’ingresso della sacrestia, per segnare l’inizio delle funzioni religiose, suona una campanella d’origine celtica.

Gli abitanti di Fauz, tra i ruderi del loro villaggio abbandonato, avevano nascosto un tesoro che poi per secoli gli abitanti di Vuezzis hanno cercato invano di scoprire e portare alla luce. 
Si sapeva che le indicazioni per individuare il nascondiglio erano scolpite su una pietra che alla fine fu ritrovata.
“L’ho trovata io scrive Sempronio” e non aggiunge altro a questo proposito volendo mantenere il mistero.
Scena
La pietra di Fauz
ABITANTE1 – Non so chi l’abbia trovata. La pietra c’è. (dove?) Ma nessuno è stato ancora in grado di decifrare che cosa vi è scritto.
ABITANTE2 – Uno studioso mi ha detto che  è forse in lingua venetica, quella del popolo che abitava qui prima dei Celti. Usavano questa scrittura anche i Carni non avendo, come tutti i Celti, una lingua scritta propria.
PARROCO – Che ci sia il tesoro non si sa. Mentre è vero che gli abitanti di Vuezzis nel 1341 hanno voluto dedicare la loro chiesa a S.Niccolò per essere protetti, dall’arrivo di altre pestilenze, con o senza mosche bianche. Qualcuno sostiene che sia stato per merito dei poteri magici di quel campanello se  l'epidemia di peste nera che nel 1348 ha interessato tutta l'Europa non è arrivata a Vuezzis ma s’è fermata a Gracco.
Il miracolo del bambino salvato
            Comunque i meriti furono attribuiti a san Nicolò, e per ringraziarlo si decise di affrescare la chiesa, non senza grandi discussioni perché era utilizzata sia da Vuezzis che da Gracco. 

Vuezzano – Per ricordare il miracolo di non aver avuto la peste non c’è nulla di più significativo che riportare i miracoli compiuti in vita dal nostro patrono San Nicolò.
Gracchese – Voi sì. Ma da noi c’è stata la peste e siamo stati tutti sul punto di finire al giudizio del Padreterno Il pittore che scegliamo noi dovrà sottolineare questo fatto, dovrà dipingere
Giudizio universale.
 un Cristo giudice, e il giudizio universale.
PARROCO. Per questo ancora gli storici dell’arte si scervellano anche ora a capire, come mai abbiano lavorato due pittori quasi nello stesso tempo, con soggetti così diversi.
            I fatto che si sia scelto il miracolo d’un bambino salvato dall’acqua può far pensare che si sia scelto questo santo per proteggere il passaggio sulle passerelle del Degano, dove c’erano stati già tanti morti.
.           Frattanto infatti, mentre si continuava a sentire scorrere in fondo alla valle il torrente Degano, e con lo scorrere dell’acqua scorrevano gli anni e i secoli. Tutta la valle s’era convertita al cristianesimo e i paesi facevano a gara a costruire le chiese ove raccogliersi a pregare man mano che si sviluppavano. Non come adesso che si potrebbero anche demolire senza che nessuno s’accorga. Nel 1209 fu eretta  la chiesa della Pieve e nel 1341, come già detto, quella di S.Niccolò di Vuezzis, utilizzata in un primo momento anche dagli abitanti di Gracco.
Il portale della Chiesa
            Solo in un primo momento però, perché anche Gracco volle la sua Chiesa!... Non la ricorda Piutti nella sua storia della Carnia, non la ricorda neppure la Filologica nel suo bel volume “In Guart”, malgrado l’evidenza della sua esistenza in centro al paese.
            Sullo stipite del portale d’ingresso si legge la data del 1628, ma è quella della sua ricostruzione. C’era ben prima come dimostra il fatto che non è periferica ma centrale rispetto al paese, che sembra quasi sia sorto attorno a lei.
            C’è la cornice d’un quadro opera di Pittoni che non sono ancora riuscito a vedere...

Sullo sfondo scorreranno le riprese tridimensionali dell’interno della Chiesa, (quando mi sarà concesso di entrare).

Fatta la Chiesa ci voleva un prete per le funzioni e bisognava mantenerlo. Anche a Gracco si istituì quindi il Quartese, l’obbligo cioè per tutte le famiglie di destinare la quarta parte del PIL, per mantenere l’incaricato della cura d’anime. I preti venivano incaricati di tre anni in tre anni.
            Alla fine del triennio dovevano rendere conto e attendere il giudizio dei camerari nominati dalla vicinia per sapere se venivano confermati.
Curato – Sono qui a chiedere umilmente se mi sarà rinnovato l’incarico per un altro triennio.
Cameraro – Ma veramente ti sei assentato troppe volte senza il nostro permesso.
Curato – Lo so, ma cosa ci stavo a fare se non c’è nessuno che viene a messa durante la settimana.
Cameraro – Può essere anche colpa tua perché fai delle prediche senza ne capo né coda.
Curato – Se fossi bravo concorrerei per la chiesa d’un paese con un ricco quartese. Con quello che mi date voi sarei già morto di fame se non mi dessi da fare. Se sapessi raccontarla bene nelle prediche non sarei qui a prendermi la croce della cura d’anime d’un paese che ha salite più ripide di quelle del calvario.
Cameraro – Non hai tutti i torti, e non sarà facile trovare qualcuno che venga fin quassù a sostituirti. Naturalmente i migliori scelgono  i paesi con il quartese più generoso. O ci tassiamo di più o ci teniamo quello che passa il convento. Non possiamo lamentarci se a Gracco come a Vuessis e Givigliana, arrivavano quindi i morti di fame
               
      SPETTATORE – Quelli erano bei tempi! quando i preti dipendevano dal paese, non come ora che pretendono di comandare.
PARROCO – Ma cosa vuoi che comandiamo se siamo sempre meno, le chiese con sempre meno fedeli. Ci si sposa in Municipio, manca solo che i Sindaci si mettano a celebrare i funerali e poi possiamo chiudere.
            Ma smettila di portarmi fuori tema.
          Dal libretto di Sempronio si ricava invece un altro episodio significativo che riguarda la chiesa di Gracco, quella vecchia che ora non c’è più.
Attorno al 1300 si era diffusa in paese una epidemia di invidia. Direte voi, l’invidia non è una epidemia ma un vizio. Secondo Sempronio invece si è sviluppata a Gracco come una epidemia poi si è diffusa per tutta la Carnia diventando pandemia. Debellato il virus il corpo sociale della Carnia, ne è rimasto segnato. Curade la feride a è restate da croste.
SPETTATORE – (rivolto al pubblico) Una crosta che credo tutti siate d’accordo si nota ancora. Invidia e egoismo è stato detto e si dice ancora sono i mali endemici di noi carnici.

PARROCO – Non esageriamo! Non è che in Friuli si stia meglio-  Ma torniamo all’epidemia del Trecento. Il problema più grosso era che tutti a guardare con invidia se qualcuno faceva qualcosa, alla fine nessuno faceva qualcosa e si era finiti alla fame. Il Patriarca per scongiurare il morbo mandò per una missione d’una settimana, il più famoso frate cappuccino del tempo.
FRATE – Chi non viene a Messa venti scudisciate. Chi non si confessa non mangia”
ABITANTE . Ma dobbiamo perdere il nostro tempo a pregare.
FRATE – Pregare e lavorare. Ora et labora. Solo così si debella il vizio dell’invidia e si impara la virtù della generosità.
ABITANTE – Per essere generosi bisogna avere, e noi siamo poveri.
FRATE – Chi da non perde ma guadagna. Dopo una settimana di prediche vi metto alla prova. Cosa chiedereste a Dio in dono sapendo che lo darà doppio ai vostri amici?
ABITANTE – Di avere due occhi di falco, così il mio compagno di caccia ne avrà quattro e non ci sfuggirà più nessuna preda.
SPETTATORE – Bugiardo! Tutti sanno che vi siete trovati concordi nel chiedere “Dio cavami un occhio” così da far diventare cieco il compagno
PARROCO – Comunque il frate è andato via contento, come son contento io pensando di non impegnare bene il mio tempo per farvi diventare bravi cristiani.
SPETTATORE – Alle volte anche illudersi fa bene
PARROCO – Comunque se non mi interrompesse potrei andare più in fretta con il racconto.
                Dopo il 1420  sul letto del Degano portati dall’acqua presero a scendere tronchi d’albero. In quella data la Carnia s’era data a Venezia che aveva confermato consuetudini e statuti. S’era soltanto presa 47 boschi per il suo Arsenale. I Boschi vennero banditi e presero il nome di boschi di San Marco. Banditi vuol dire che non vi era consentito l’accesso. Quello di Gracco era uno dei 47. Gli abitanti non potevano più entrare nel bosco che scendeva fino a ridosso delle case. Neppure a raccogliere legna secca. Se poi vi fossero entrate le capre, la pena per gli abitanti sarebbe stata gravissima.
VENEZIANO: Proclama.

Che non se possi più in alcun lo desboscar né cavar legni ne de roveri né de altro, ma tuti restino boschi, sotto tutte le pene e le streture in ciò per leze et ordini desponentigo del dominio nostroI proclami di Venezia sul bosco.
PARROCO:        Una rivoluzione! Ci furono proteste, fatti di sangue…Prima gli abitanti di Gracco pensavano che fosse il prato la loro risorsa principale, perché consentiva l’allevamento. Venezia insegnava loro che era più importante il bosco. Ai cambiamenti non ci si deve opporre, vanno assecondati e sfruttati. Un D’Andrea che aveva studiato un po’ di latino con i frati di Raveo, cambiò il motto del paese in Flectar ne frangar, Ci si deve piegare per non spezzarsi. Facendo di necessità virtù si mise a fare l’impresario boschivo per conto di Venezia, impiegando gli altri paesani come operai. Il bosco, proprio perché proprietà di Venezia, era diventato una risorsa per il paese. I tronchi di faggio, cresciuti snelli ed altissimi al posto delle querce, presero a scorrere nelle lisse che dal bosco scendevano al Degano. Da qui ad Ovaro ove si formavano le zattere che scendevano fino a Latisana e poi a Venezia.

         Ma pur con tanti demeriti a Venezia la nostra valle deve riconoscere il merito di averla tolta dall’isolamento. Nel 1790 fu portata a termine la carrareccia fino a Sappada. Purtroppo per Gracco e gli altri paesi in sinistra, Venezia decise di lasciare la strada romana e farne una nuova in destra del Degano. Non era chissà che, ma la situazione peggiorò passando all’Italia che privilegio la viabilità per il Mauria realizzando il collegamento nel 1890 mentre divennne strada provinciale di seconda serie quella di Gorto, che per giunta arrivava solo fino ad Ovaro.
La parta D'Andrea a Rigolato
            Da un villaggio di poeti che ha nutrito i primi vagiti della lingua friulana, non poteva non nascere anche il carattere distintivo del popolo carnico che ragiona per principi, a partire dal principio fondamentale che due cose non sono mai confrontabili.
                  L’è stat cusssi che.. quando entrò in eredità la locanda del paese i due fratelli, non riuscendo a trovare altro accordo, decisero di dividere in due la porta di ingresso e anche il portale.   Mettersi d’accordo su una eredità in modo che un figlio si prenda il prato di Sot la Crete e l’altro quello di Palut e impossibile, appunto perché Crete e Palut sono due termini inconfrontabili. Così ognuno dei due figli eredita un toc di Crete e un toc di Palut. Cusì in ta crete la ca si podeve fa un fas di fen, cumò non val la pene là a seà. E in Palut dove si poteva ricavare un campicello, non
si rivin a fa nencie dòs cumièries par om.
             Ma mezza porta a che serve? A nulla! Ma da Gracco s’è diffusa in Carnia l’idea che “i pincipi sono tali a prescindere dal valore”.    
      E su questo principio si sono ingrassate famiglie di avvocati mentre le proprietà sono andate frantumandosi fino a non essere più economicamente gestibili.

SPETTATORE.
            Dopo secoli la porta della locanda di Gracco è stata ricomposta a Rigolato in casa D’Andrea. Chissà che non sia l’inizio d’un “Carnia domani” nel quale il buonsenso, ce la farà ad affermarsi sui principi.

PARROCO: Comunque caduta Venezia in mano francesi anche sulla Carnia si è abbattuto il ciclone Napoleone. Peggio di Vaia.
SPETTATORE – Ma sta leggendo il libriccino di Sempronio o dice cose sue. Perché io so che i preti hanno visto come una disgrazia quel miscredente di Napoleone che ce l’aveva con preti e suore, ma io ho letto che  Lupieri di Luint medico e storico parla Napoleone come un astro luminoso.
PARROCO – Anche in Carnia ha eliminato le vicinie e formato i Comuni. Giudicate voi se è stato un bene o un male.
FRANCESE – E’ ridicolo che ogni piccolo paese sia una vicinia cioè un comune autonomo. D’ora in poi ci sarà il Comune unico di Rigolato e la Val Degano sarà uno dei distretti in cui verrà divisa la Carnia.
GRACCHESE – Ma noi è da secoli che siamo autonomi, che amministriamo i nostri prati i nostri boschi. Già a metterci assieme con Vuezzis avremmo delle difficoltà, Ci si può immaginare a dipendere da Rigolato che è di là dall’acqua.
FRANCESE – E invece d’ora in poi sarà così. Per darvi un contentino Rigolato sarà capoluogo del Distretto.
GRACCHESE –Sai quanto ce ne importa! Ma i nostri beni, i beni della vicinia di Gracco che fine faranno.
FRANCESE - Saranno conferiti al Comune di cui voi farete parte.
GRACCHESE – Ma te l’immagini? Difenderemo la nostra storia con le falci non avendo spade…
FRANCESE – La vedremo!
PARROCO- Siccome contro la forza la ragion non vale. Deposte le falci prese vita il Comune di Rigolato, uno dei 28 in cui fu organizzata la Carnia.
Scrive Sempronio che per Gracco l’unico vantaggio fu che la fama di acqua salutare che aveva quella di Ludario e Rigulat si estese anche a quella dei paesi oltre il Degano.
Sul fondale viene proiettata la fontana di Gracco.
SPETTATORE – Per addolcire la pillola ci fate vedere il vantaggio dell’acqua.
PARROCO . No! E proprio Sempronio nella sua storia a ricordare che nel Comune ci sono ben 42 fontane. Alcune storiche..
Si apre la scena sulla fontana dei muli con un alpino che la sta presidiando.
VOCE – (Una voce fuori campo). Sono il generale Lequio. Alpino che ci fai qui dove è il tuo capitano.
ALPINO – Sto attendendo i muli per l’abbeverata, il capitano con i miei compagni è su a piantare le teleferiche, sul monte Crostis, per allestire la seconda linea.
Generale (fuori campo)
Hai visto passar quelli della prima linea che devono andare in Bordaglia e Passo Giramondo.
ALPINO _ Ieri è passata di qua una compagnia di bersaglieri. Ce n’era uno un po’ fuori di testa che s’è messo qui, proprio alla fontana dei muli a fare un discorso sulla bellezza delle guerra. Ha detto di chiamarsi Benito Mussolini.
PARROCO – In effetti è passato di qua quello che aveva fatto il maestro a Tolmezzo e poi diventerà il duce. Ha combattuto anche lui in Bordaglia, come lo ricordano le lapidi.
Sullo sfondo le lapidi su Mussolini.
SPETTATORE . Bella la guerra! Altrochè fuori di testa.
PARROCO – A vedere quanto fosse poco bella è finito tutto il paese e tutto il Comune il 30 novembre del 1918
Scena
Voce (fuori campo) Scappiamo. Scappiamo che stanno arrivando gli Austriaci,
Gracchese – Ma scappiamo dove.
Voce –Si vedrà.
Gracchese – Ma cosa è capitato?
Voce – Gli austriaci hanno sfondato il fronte a Caporetto finiremo in mano loro e sarà terribile.
Gracchese – Ma le nostre cose. Le mucche,gli animali!
Voce – Insomma chi vuole scappi, chi non vuole resti. Che Dio la mandi buona agli uni e agli altri.
PARROCO – A Rigolato sono scappati… in e rimasti in…

E’ il caso che finiamo in positivo parlando delle  latterie?